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L'arte del costruire

Maestri d’ascia e calafati, nel loro adempiere ad una attività assolutamente itinerante, con spostamenti continui lungo tutta la costa, sono presenti nel Piceno perlomeno da fine ‘600. Molti i ceppi familiari, quasi tutti, provenienti dal contesto lagunare o dalla penisola istriana, ma anche uomini locali, che grazie a questi scambi, mutuano e adattano tecniche e pratiche veneto-chioggiotte. San Benedetto non può vantare una lunga e duratura attività cantieristica ma si distingue nel calafataggio. Ogni anno, nel mese di luglio o agosto, le barche venivano tirate a terra, si toglieva il vecchio strato di catrame e si provvedeva alla calafatura con l’inserimento di nuova stoppa seguita da una catramatura finale.

Per la costruzione di nuove barche si doveva dapprima realizzare lo scheletro, secondo la sola maestria acquisita da generazioni, poi con legno di pino si costruiva la coperta delle paranze e dei barchetti; l’albero poteva essere di pino o di larice fino al calcese (parte più alta), che era fatto invece di olmo e munito di incavo con pulegge per il passaggio delle drizze dell’antenna. Il fasciame, preventivamente ammorbidito, era fatto generalmente di legno di quercia, nel caso di lance anche di larice, perché tendente ad una minore dilatazione per effetto dell’umidità e più resistente alle teredini; per collocare il fasciame si partiva dall’alto al basso fino al ricongiungimento effettuato con una tavola sagomata, spesso benedetta con grande festa di maestranze e committenti, a decretare la fine dei lavori e a richiedere la protezione divina.

Nel corso del novecento la cantieristica ha compiuto, per la richiesta continua di nuovi scafi, un notevole impulso grazie soprattutto ai locali cantieri navali.

 

 
 

 
 

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