«Sul "Giorno del ricordo" uno sforzo di comprensione»

Il "Giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata" è stato celebrato anche a San Benedetto, dove si è svolta una iniziativa istituzionale in sala consiliare con la partecipazione di autorità e rappresentanze degli istituti superiori.

 

«In questi cinque anni abbiamo celebrato tutte le ricorrenze nazionali invitando specialisti prestigiosi per favorire una memoria condivisa», ha affermato il sindaco Gaspari nel suo saluto introduttivo, «Abbiamo cercato di scongiurare ogni possibile contrapposizione tra "opposte tifoserie", un atteggiamento particolarmente sterile in campo storico. Al contrario, siamo sempre entrati nel merito delle questioni, soprattutto a beneficio delle scolaresche, che approfondiscono in classe questi temi».

 

Al "Giorno del ricordo" di quest'anno è intervenuto lo storico Costantino Di Sante, autore di diversi libri sull'argomento, il quale ha ricostruito in maniera sintetica ed efficace la storia del confine orientale, dalla fine della prima guerra mondiale al trattato di Osimo del 1975, che ha posto la parola fine alla questione del confine orientale tra Italia e Jugoslavia (oggi Slovenia). Di Sante ha fornito un "excursus" dall'aggressione del polo culturale sloveno di Trieste nel 1920, alla "italianizzazione" effettuata durante il fascismo nei territori giuliano-dalmati, i crimini italiani compiuti specie durante la seconda guerra mondiale, e poi la reazione del nazionalismo jugoslavo subito dopo l'8 settembre 1943, le repressioni, i campi di prigionia, le esecuzioni, i 4-5 mila morti nelle foibe e i "molti di più" nei campi di concentramento, l'esodo di più di 250 mila italiani da quei territori (tutte cifre fornite da Di Sante), verso gli oltre cento campi di accoglienza in Italia, tra i quali quello di Servigliano in provincia di Fermo, già campo di deportazione verso Auschwitz durante la seconda guerra mondiale. E il difficile inserimento nei territori ove gli esuli venivano sistemati.

 

«Il trattato di pace successivo alla seconda guerra mondiale stabiliva condizioni molto dure per l'Italia», ha affermato Di Sante, «Tra le altre cose erano previsti il risarcimento per i danni causati durante le aggressioni di Grecia, Albania e appunto Jugoslavia e la consegna dei criminali di guerra, a partire dal generale Roatta. Nessuno dei responsabili dei crimini italiani fu consegnato, e inoltre la rottura tra Tito e l'Unione Sovietica faceva di Tito un interlocutore comodo per l'occidente. Per questo, oltre che per l'avversione da parte del Partito Comunista Italiano verso esuli considerati oppositori del socialismo jugoslavo, scese il silenzio su tutte quelle vicende, causate appunto dagli opposti nazionalismi, italiano e jugoslavo. La ripresa dei rapporti diplomatici tra Italia e Jugoslavia dopo la guerra avvenne proprio per trattati sulla pesca, e a San Benedetto sono ben noti gli episodi di pescherecci sequestrati per sconfinamento nelle acque jugoslave».

 

La relazione del dott. Di Sante è stata preceduta dalla proiezione di un breve filmato, prima parte di un documentario realizzato dall'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e dal Centro Studi Padre Flaminio Rocchi.