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La paranza: antropologia di una barca

Questa barca a scafo tondo, armato solo nell'area sambenedettese a vela latina, con un solo albero ed antenna molto lunga, costituiva la caratteristica della paranza sambenedettese.

Questo tipo di barca aveva un solo compito: quello di navigare con tutte le condizioni meteorologiche e permettere così l'effettuazione delle operazioni di pesca. E si sa, la navigazione a vela è spesso frutto di una pratica secolare e di un sapere empirico legati strettamente alle particolarità delle singole barche, ai venti, alle correnti, ai fondali.

La paranza con gli spazi disposti sapientemente ad accogliere una vastissima attrezzatura fatta di innumerevoli cime di varia grandezza (lu ciucce, i lebbà, lu mante, la ciaule, i cuncire e le terzarole, ecc.) e di più reti e vele di ricambio, era pronta per bordate che duravano di media una quindicina di giorni e prevedevano durante le 24 ore calate di varia durata. Sui fondi di sabbia pulita di solito la cala durava da due a quattro ore, mentre sui fondi fangosi e sporchi non superava le due ore. Il nome stesso dell'imbarcazione sta ad indicare che la pesca veniva effettuata a coppia (la paranza del parone e quella del sotto parone distinte per i diversi colori del ventame – parte alta della vela) in modo tale che a guidare la manovra fosse la barca di sopravvento e la distanza di navigazione fosse di un massimo di 150 mt.; con la nebbia le paranze si legavano insieme con una cima e un componente dell'equipaggio ne controllava la continua tensione per evitare pericolosi avvicinamenti. Allo stesso modo pescavano le lancette, che effettuavano però bordate di un giorno, partendo all'alba e tornando al tramonto: di notte venivano inutilizzate per trainare il carpasfoglie, lunga rete a sacco con l'imboccatura tenuta costantemente aperta da un palo di faggio di circa due metri: adatto a fondali particolarmente bassi e fangosi (30 mt.) il carpasfoglie fu la rete tipica della pesca notturna e di fondo.

Il tipo di rete utilizzata per la pesca a strascico era la tartana consistente in un sacco o coda di 20-30 mt. che prosegue con due pareti laterali o bracci fino a due aste di legno mantenute da corde attorcigliate (i lebbà) ed assicurate agli scafi trainanti mediante delle reste, grossi cavi di canapa di 800-1000 mt. con cui la rete veniva manovrata. Una funzione preminente la svolgevano i lebbà, la cui pesantezza e consistenza provocava un intorbidimento delle acque e la fuga dal fondale dei pesci che venivano così ingoiati dalla rete.

La presenza di eventuali ostacoli e la necessità di difendersi dai delfini consigliavano l'uso di reti protettive a maglie larghe ed incatramate (lu iacchere e la parnanza), le quali, disposte sulla coda e sul fondo assicuravano una maggiore resistenza della rete.

 

Illustrazioni realizzate da Pirò (Pino Rosetti), tratte dal libro Vele al vento.

 
 
 
 

 
 

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