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Viaggio

Navigare necesse est vivere non necesse

A bordo della paranza. Navigatori della pesca.

 

“Si partiva all’alba, quando il sole non era ancora spuntato ed il morè (il più giovane) doveva aiutare gli altri dell’equipaggio alle diverse manovre. Smarrava lu ferre ad esempio, levava cioè l’ancora, mentre gli altri a forza di remi si allontanavano dalla riva, si issava quindi l’antenna della vela ed appena la profondità dell’acqua lo permetteva veniva calato il grande timone. Una volta in mare le poche cose a cui lu parò poteva fare ricorso per la navigazione erano una perfetta conoscenza dei venti, della posizione delle stelle, della consistenza dei fondali. Con lo scandaglio a sagola, lu parò riusciva a rilevare la posizione esatta della paranza. Era una palla quasi ovale di piombo che pesava da un minimo di 10 ad un massimo di 54 kg.; la più leggera si usava con la bonaccia, la pesante con il mare grosso. Era legata ad una corda, graduata con dei nodi, mediante un anello e nella parte bassa quasi a punta. Gettata in mare coperta con un pezzo di rete o con delle piccole tacche sul piombo, quando si tirava su portava i residui del terreno: se era sabbia si riconosceva perché raspava un po', se fango era invece molto liscio. Quando era incerto cosa fosse, di notte, ad esempio, col buio, si portava alla bocca e con la lingua lo si riconosceva. Secondo il colore si sapeva dove si stava perché nei pressi di Civitanova la sabbia era di colore rossastro, a Pedaso nera, a Torre di Palme invece era finissima e solo con la lingua si distingueva dal fango. Di giorno regolandosi con i monti della costa si poteva controllare la verità dello scandaglio. Un altro attrezzo necessario durante la navigazione era la spera: un'ancora legata alla rovescia (sotto all'ancora c'era un anello) che gettata in acqua doveva impedire che la barca corresse troppo. Se c'era bufera il suo peso non era sufficiente ad arrestare la paranza: si faceva perciò ricorso ad un cavo vecchio che avvoltole intorno la appesantiva inzuppandosi nell'acqua. Il cattivo tempo coglieva spesso la barca in mezzo alle acque: si trattava allora di riprendere terra senza far incagliare lo scafo perché altrimenti doveva essere la più dura delle operazioni: lo scocciadiavoli. Ovvero il sollevamento della paranza, dopo averla completamente scaricata, mediante due buttafuori (lunghe pertiche) assicurati alla barca e ficcati nel terreno a mò di stampelle: con questo sistema di disincaglio, che poteva protrarsi per l'intera giornata, si suppliva ad un eventuale approdo su un litorale deserto ed isolato. In queste condizioni anche l'ancoraggio era problematico. Con la pioggia e la neve al grido del parò a nn'acque lu iuvenette, uno dei marinai completamente nudo si gettava in mare con una cima, lu ciucce, e la assicurava a terra annodandola ad una trave, lu ciucche, calata in una fossa che il marinaio provvedeva a ricoprire con la sabbia. Questa operazione veniva ripetuta più volte fino a quando la paranza non assumeva una posizione il più possibile perpendicolare alla spiaggia assicurata con il provese all'ancora ed il poppese alla terra. Molti giorni dovevano trascorrere poi prima che le vele e le reti fossero asciutte completamente. Al ritorno dalla pesca bisognava poi ricondurre le barche sul bagnasciuga tirandole con degli argani più o meno grandi e facendole scivolare sulla palanche."

 


Illustrazioni realizzate da Pirò (Pino Rosetti), tratte dal libro Vele al vento. 

 
 

 
 

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