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Giovanni Battista Crescenzi

 

Nome: Giovanni Battista Crescenzi

Soprannome: Lu ‘Nglese

Nato: 6 Dicembre 1941 San Benedetto del Tronto

Figlio di: Domenico Crescenzi e Novelli Maria

Professione: comandante di marina

 
 
 

Imbarchi

 
  • 1958 Leone del Mare

  • 1965 Giovanni Marchigiani

  • 1966 - 1968 Marchegiani III

  • 1969 - 1970 Biagini

  • 1970 - 1971 Marchegiani IV

  • 1972 - 1982 Stanislava

  • 1972 - 1982 Venceslao

  • 1985 Corrado II

  • 1990 Murka

  • 1991 - 1992 Genevieve

  • 1992 - 1993 Larus

  • 1997 Antares

 
 

Lu 'Nglese

 

Nella mia carriera di uomo di mare ci sono state giornate lunghe, alcune più brevi, altre concitate, altre ancora solo da ricordare.

  • Mio padre aveva la lancetta e ricordo benissimo che il mio battesimo con il mare fu a bordo di essa: la “Maria Josè”. Avevo 5 anni e mi portò con lui per una battuta di pesca. Salito a bordo, per paura che sentissi freddo, Babbo mi accompagnò sottocoperta e mi avvolse con una vela intrisa di salsedine. Sentii un odore forte, quasi disgustoso, che tuttora, a distanza di anni, ne percepisco l’intensità.

Cresciuto decisi di frequentare l’avviamento marinaro che mi introdusse a pieno nel mestiere. Terminati gli studi andai a lavorare con mio padre al porto di San Benedetto. Scaricavo le cassette del pesce che sbarcavano i pescherecci locali o mi dedicavo alla piccola pesca, alla sciabica, insieme a mio padre e alla sua Lancetta.

Una lunga gavetta che rafforzò in me il desiderio di continuare a lavorare con il mare.

Ritornato dal servizio militare in marina, all’età di 21 anni, sentivo circolare tra i marinai, anche miei coetanei, sempre di più la voglia di imbarcarsi sulle navi per la pesca oceanica. Era una nuova opportunità che mi avrebbe fatto crescere, ma soprattutto affrancare dalla dura vita, non sempre ben retribuita, del marinaio locale.

Nel 1956 venne varato il primo peschereccio in legno per la pesca oceanica: il “Nicola Marchegiani” uscito dai cantieri di San Benedetto dell’armatore Marchegiani.

Successivamente anche altri armatori credettero in questa attività, ma inizialmente, le disponibilità finanziarie non erano così abbondanti da potersi permettere imbarcazioni nuove, così venivano comprate navi in disuso francesi o tedesche che, poi, i cantieri navali di San Benedetto ristrutturavano e riarmavano.

Dopo aver acquisito la patente da padrone marittimo decisi di iniziare la carriera su quelle grandi navi destinate a solcare i freddi mari oceanici. Volli imbarcarmi, però, come marinaio semplice perchè avevo bisogno di sperimentare fino in fondo la fatica di quel lavoro, ero sicuro che solo un’esperienza forte avrebbe temprato il mio ancora troppo giovane carattere .

Quindi mi imbarcai, dal 1963 al 1965, come marinaio sul “ Giovanni Marchegiani” una barca in ferro destinata alla pesca atlantica.

 
 
 

La sagra della merluzza a Lima

 

La mia carriera continuò a Livorno come secondo ufficiale sull’ “Antilope”. Dopo alcuni viaggi venni promosso primo ufficiale. In seguito mi imbarcai sulla “Marchegiani III” come comandante.

Con questa nave, nel 1967, fui protagonista di un’avventura in Perù fuori dall’ordinario. Da premettere che nel ’67 quando si compivano traversate oceaniche veniva in aiuto solo il sestante, ossia le stelle di notte e il sole di giorno.

Giunti al porto di Callao, sulle coste peruviane, dopo 35 giorni di navigazione, mi imbattei in una realtà a me sconosciuta, ma anche agli autoctoni. Il mare pullulava di ingenti quantità di pesce che la popolazione locale non pescava perché non sapeva come mangiarlo. Erano degli abili pescatori di hanchoia (alici) che utilizzavano solo per produrre farina di pesce. Quando giunsi con la mia grande nave in ferro e iniziai a praticare la pesca a strascico fui visto come un alieno, e fu in questa occasione che la creatività italiana giocò un ruolo determinante.

I Frat.lli Marchegiani mi mandarono a comandare la Marchegiani III per dimostrare ai peruviani che con quel tipo di nave avrebbero potuto pescare così tanto pesce da sfamare gran parte della popolazione, portata allo stremo da una lunga guerra con l’Equador e da uno sfavorevole paesaggio, che non permetteva sfogo né nell’ agricoltura né nella pastorizia.

La municipalità di Lima doveva essere convinta di questa straordinaria opportunità, ma come fare? Un genovese che viveva lì da tempo e aveva preso contatti con i Frat.lli Marchegiani pensò di organizzare con il pescato della Marchegiani III una grande festa del merluzzo fritto nella piazza San Martin di Lima. Allestì la piazza con grandissimi bracieri e pentoloni pieni di olio bollente nei quali enormi quantità di pesce tagliato a tranci e infarinato, dai miei marinai, cadeva per essere fritto e poi confezionato in piccoli cartocci da far degustare alla gente del posto. Tutto gratuitamente. La Sagra della Merluzza richiamò tante persone e entusiasmò così tanto la municipalità di Lima che acquistò la nave e con marinai locali iniziarono a pescare pesce per essere mangiato!

Ritornai a casa nel ’69 perché volevo conoscere mia figlia. La pesca atlantica ora poteva aspettare, decisi così di comprarmi una piccola barca e iniziai a praticare la pesca locale. Questa attività durò fino ad una calda mattinata di agosto, quando, mentre stavo scaricando il mio pescato, venne a trovarmi Antonio Marchegiani che mi disse: -Devi ritornare a comandare la Marchegiani III , è incagliata su uno scoglio al largo del porto di Callao, la situazione è grave e serve il tuo aiuto.-

Dopo due giorni ripartii.

 
 

" Il pratico" in Cile

 

Riuscii a recuperare la nave e iniziai le battute di pesca che furono sempre molto fruttuose, ma questa volta mi spinsi a pescare fin lungo le coste cilene. Non conoscevo quelle acque, però fui rassicurato dal mio armatore perché mi affiancò un “ pratico”. Nei pressi dello Stretto di Magellano mi resi conto che le acque erano troppo profonde, oltre 500 metri e non c’era pesce, infatti pescavamo solo calamari giganti, lunghi anche due metri. Il “pratico”si rivelò un cialtrone e a me non rimase che risalire le acque del Pacifico per ritornare a Callao. A nord di Callao, nelle Isole di Lobos, con una cala a 60 metri di profondità pescammo 20 tonnellate di merluzzo, cabrìa, tollo e pesce rei. Smistammo il pesce e lo sistemammo nelle 7000 casse che congelate regalavamo alla municipalità di Lima, che si occupava di commercializzarlo.

 
 

La corrente di Humblot

 

Nel 1970 mi imbarcai sulla “Biagini”, una nave che alcuni armatori sambenedettesi attrezzarono per la pesca dei gamberi con i bighi laterali e le reti all’americana. Dopo circa 30 giorni di navigazione mi ritrovai sempre davanti al porto di Callao in Perù pronto a dimostrare che con quella nave si potevano catturare anche i gamberi. L’unico problema era che i gamberi si trovavano lungo le coste dell’Equador e io non avevo il permesso per pescare lì, ma così mi fu risposto dalla municipalità di Lima:- Vada capitano a pescare in quelle acque , non si preoccupi tanto la faremo scortare da una nostra motovedetta armata di cannoncino e vedrà che potrà lavorare indisturbato.-

La battuta di pesca durò un’ora durante la quale tirai su solo 38 casse di gamberoni perché non era la stagione. Avevo dimostrato, tuttavia, che con quella nave si potevano pescare grandi quantità di pesce e anche gamberoni.

A Marzo decisi di spostarmi verso le Isole De Lobos , circondate dalle fredde correnti di Humblot che raffreddano l’Oceano e guidano il passaggio dei calamari fino alle Isole Galapagos. Inaspettatamente mi ritrovai a passare in mezzo a un branco di milioni di calamari bianchi; con una sola cala di circa un’ora riuscii a pescare 400 casse di calamari. Una pesca così abbondante ci costrinse a stare fermi una giornata intera per congelare.

La cosa curiosa era che ogni tanto si fermava il motore ausiliaro, perché le prese a mare si riempivano di calamari che impedivano il passaggio dell’acqua per il raffreddamento dei motori.

Il pesce pelagico quando si sposta forma un fiume così denso che si potrebbe calpestare senza mai affondare nell’ acqua.

 
 

Le Ammiraglie di San Benedetto

 

Nel 1970 i cantieri navali di Porto Recanati costruirono due nuove navi commissionate sempre dai Frat.lli Marchegiani: “ La Stanislava” e “Il Corrado II”, che furono le prime ammiraglie destinate a formare la flotta sambenedettese per la pesca atlantica .

Nell’Agosto del 1975 andai a pescare con lo Stanislava nell’area 4 davanti allo Stato di New York. Pescai negli Stati Uniti per circa 7 anni alterando il comando con il Corrado II.

Ogni carico era di 800 tonnellate di pesce. Tutto il pesce veniva sbarcato o a Las Palmas o alle Bermuda o in Nuova Scozia, perché in America non si potevano compiere attività commerciali. Certamente erano siti molto vicini all’area di pesca. Si pescavano calamari di prima qualità, oltre alle rane pescatrici, ai merluzzi bianchi, ai totani e ad altro pesce ancora. Si rientrava a San Benedetto dopo 3-4 mesi, alcune volte bisognava completare il carico in Africa. Congelavamo a bordo e poi davamo i cartoni ad una nave greca che caricava tutte le casse congelate e poi le trasportava in Italia.

Le condizioni con le quali ci facevano lavorare gli americani erano difficili perché cambiavano le regole di pesca ogni volta che ritornavamo nelle loro acque. Quando un capitano arrivava con la sua nave doveva andare dal Gran Giurì per giurare che avrebbe rispettato tutte le loro leggi e condizioni. Avevamo delle location e una certa quantità di pesce da poter catturare, ripartito tra varie tipologie, la quota da rigettare in mare era di varie tonnellate. A volte accadeva che si pescava più butter fisch che pesce buono. Il biologo a bordo, pagato dal nostro armatore, controllava il nostro pescato e se notava che avevamo superato le quantità consentiteci dovevamo ritornare vuoti, insomma condizioni capestro. Inoltre lo spostamento continuo delle nasse che ci facevano cambiare sempre posizione di pesca, perché non dovevamo neppure avvicinarsi ad esse, ci mettevano sempre al rischio di una condanna . Siamo sempre riusciti a barcamenarci anche con tante peripezie spesso del tutto italiane.

Pensai così di avventurai in Canada per la campagna estiva dei totani nei pressi dell’Isola De Sable, ma nello stesso periodo ci fu la campagna di protesta condotta da Brigitte Bardò contro la cattura dei cuccioli di foche e l’attrice riuscì a dimostrare che gli italiani erano i primi importatori di pellicce di foca, quindi dovemmo subito andar via.

Insomma l’avventura americana fu molto travagliata e poi terminò quando l’amministrazione del Presidente Ronald Regan non ci rinnovò il permesso di pesca.

 
 

Quando la fortuna ti assiste....

 

Nel 1985 mi imbarcai sul Murka, ex Corrado II, e iniziai la campagna di pesca per il prelibato gambero rosso, Carabineros ,nelle acque internazionali della Guinea di Bissau.

Pescammo a 340 km dalla costa ad una profondità di circa 530 metri.

Di solito nessuna vedetta della capitaneria di porto africana veniva a controllare, ma una notte vedemmo avvicinarsi una motovedetta. Pensai subito di mettere la prora in direzione della vedetta e quindi spostarmi verso la costa con le luci di navigazione accese. La mia intenzione era quella di fargli credere che avevamo il permesso e ci stavamo avvicinando alle coste per pescare. La vedetta ci vide passare a fianco. Ci facemmo identificare, ma essendo sabato sera e gli uffici della capitaneria chiusi, non poterono verificare se avevamo il permesso. La mattina seguente vedemmo alcune navi spagnole pescare vicino la costa così ci intrufolammo tra loro eludendo la guardia costiera. Poco dopo continuai la navigazione fino alla Baia di Conakry.

 
 

Campagna di pesca in Patagonia

 

Durante la navigazioni nei pressi dello Stato di Bahia la Corrado II ebbe un’avaria al motore principale e ciò ci costrinse a raggiungere il porto brasiliano di San Salvador. Era il mese di Gennaio in pieno periodo di Carnevale.

La città era in festa e forse anche le donne brasiliane perché a decine si intrufolavano a bordo. Per 12 giorni dovemmo “combattere” con questa simpatica invasione che, tutto sommato, ci fece anche comodo, infatti, non avevo mai visto la nave così pulita come in quel periodo.

Da gennaio a marzo la campagna di pesca si spostava nelle Falkland. In queste fredde acque dell’Oceano pescavamo solo calamaro, ma in enormi quantità, da 20 a 25 tonnellate al giorno.

 
 

Il Cichi-cichi

 

La pesca del totano nel sud della Patagonia attirava navi da tutto il mondo, ma i cinesi e i coreani erano gli unici che la praticavano senza reti. Le navi orientali erano dotate di bighi, che legati insieme ricoprivano la circonferenza delle navi, e di ancoretti sui quali si attaccavano i totani. Da quella posizione venivano staccati e fatti scivolare in un tubo pieno di acqua salata direttamente collegato con le sale di lavorazione all’interno della nave. Il Cichi-cichi è una tecnica di pesca veloce, redditizia e soprattutto pulitissima. Nessuna nave riusciva a competere con loro per quantità di pescato.

Un giorno, alle 9 del mattino, quando già avevamo tirato su la prima cala, una di queste navi cinesi si avvicinò sul lato rosso del Corrado II. Il Middulel, la nave cinese, non accennava a fermarsi così lo chiamai sul Canale 16, ma non ebbi risposta, lanciai un razzo rosso, ma ancora niente. Nei pochissimi minuti che intercorrono questi momenti decisi di direzionare il timone a tutta dritta e poi di fermare il motore, ma fu inutile, venimmo speronati. Il bulbo della nave ebbe uno squarcio di 2 metri e mezzo. L’equipaggio impaurito indossò immediatamente i salvagenti per buttarsi in acqua, una decisione che dovetti con grande fatica arginare perché le gelide acque dell’Oceano li avrebbe uccisi. Lanciai il May-day e mi rispose una nave russa e una cubana che si trovavano vicino a noi, subito la nave russa ammainò una lancia di salvataggio con un medico a bordo ma non avevamo feriti. Ritirammo le reti e poi con le pompe buttammo via l’acqua in eccesso, infine travasammo i liquidi sui serbatoi vuoti, la nave si sbandò sollevandosi di circa 1 metro. Puntati i paglietti rendemmo il bagno asciuga della nave nuovamente stagno, o quasi. Ricominciata la navigazione, la mattina dopo, raggiungemmo il porto più vicino che si trovava nella Penisola di Valdes. Nel frattempo mi misi in contatto con la città di Comodoro Rivadavia, la stazione marittima argentina più vicina, perchè stavamo entrando nelle acque territoriali. In seguito ci spostammo a Baia Blanca. Attraccata la nave ci venne in aiuto, chiamato dal nostro armatore, Federico Contessi, mio concittadino e proprietario del cantiere omonimo a Mar de Plata. L’avventura si concluse dopo 21 giorni a Mar de Plata.

Non seppi mai nulla del capitano del Midduel.

 
 

La Genevieve

 

Era una ex tonnara comprata a Salerno e poi trasformata a San Benedetto per la pesca oceanica. Chiamato a capitanarla dalla ditta Marchegiani e Mosca, la nave partì per la prima volta nel febbraio del 1991 per una campagna di pesca in Africa. Primo scalo Dakar per far salire a bordo 7 marinai senegalesi, che si aggiunsero agli 8 di San Benedetto. Arrivati nella Guinea di Bisssao abbiamo iniziato la prima campagna di pesca. Di giorno pescavamo pesce da fondo, mentre di notte ci spostavamo nelle secche dell’Arcipelago delle Bjggiagos per catturare il gambero imperiale.

Il pescato era tutto destinato al mercato italiano, solo il 25% a quello africano. Il pesce dalle celle frigorifero della Genevieve veniva direttamente trasbordato nei container frigorifero diretti a Livorno e poi a San Benedetto.

Ogni campagna mi vedeva lontano da casa per 50 giorni.

 
 

Il 1 luglio 1997 sono andato in pensione ( dopo 36 anni di navigazione) e adesso ogni mattina, quando mi alzo, dico: -Oggi è una giornata in più.-

 

 
 

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